"QUALE FORMAZIONE PER UNA NUOVA ORGANIZZAZIONE GIUDIZIARIA"

di Renato ROMANO

introduzione al convegno di Villasimius-Cagliari del 17 maggio 2003

dell'Associazione Nazionale Dirigenti Giustizia

Io credo sia importante, perché la discussione di oggi possa articolarsi utilmente, considerare innanzitutto come non sia casuale, da parte nostra, dedicare quest’anno il nostro convegno alla formazione, dopo aver discusso, nei due anni precedenti, rispettivamente i temi della qualità e del ruolo delle tecnologie.

Non è casuale, così come non è casuale l’opzione - racchiusa fin dal titolo di quest’incontro: "QUALE FORMAZIONE PER UNA NUOVA ORGANIZZAZIONE GIUDIZIARIA"- per una discussione che non abbia il carattere del seminario tra cultori di una disciplina, ma del laboratorio per mettere la nostra elaborazione, il ragionamento comune, al servizio di un progetto di sviluppo organizzativo.

Discutiamo di formazione dopo aver discusso di orientamento alla qualità e di sviluppo delle tecnologie, perché siamo persuasi che la crescita della qualità del servizi resi, oggi non si articola quasi mai in meri progetti tecnici ma piuttosto in progetti complessivi di sviluppo organizzativo.

La cui elaborazione e la cui gestione hanno bisogno di alimentarsi di un campo ampio e plurale di competenze. Competenze di analisi organizzativa, competenze sullo sviluppo tecnologico, competenze sullo sviluppo delle risorse umane quindi sulla formazione.

E’ il rapporto tra formazione e organizzazione, tra formazione e cambiamento quindi che secondo me va messo a fuoco. Indagato.

Tanto più in una fase quale l’attuale in cui la permanenza del tema della giustizia tra i punti più sensibili dello scontro politico ed istituzionale grava il ruolo di coloro che sono chiamati a rendere il servizio giustizia di una responsabilità particolarmente intensa.

Se questa è l’angolazione che accogliamo, bisogna dire innanzitutto che, nell’ambito dell’organizzazione giudiziaria non siamo sicuramente all’anno zero della formazione.

Dal 1991, quando è stata istituita presso il Ministero la scuola di formazione del personale (allora nell’ambito dell’ufficio VI "Concorsi e Formazione", affidata al lavoro di solo un paio di colleghi…) tanto è stato fatto. Tanto è stato costruito. Prodotto.

Negli anni successivi sono venute le scuole decentrate di Milano, Genova, poi Salerno, Catania.

Un primo tentativo, nel 1994 in occasione della formazione del personale degli Uffici allora in via di istituzione, del Giudice di Pace, di creare una rete decentrata di referenti per la formazione. E poi, tra il 98 e il 99 la selezione, la formazione e l’avvio operativo di quasi 60 formatori distrettuali. Sino all'elaborazione del PIANO FORMAZIONE 2003 che ha costituito, per il nostro Ministero, il primo organico strumento di programmazione delle attività formative.

Non siamo quindi sicuramente all’anno zero per la formazione nell’amministrazione giudiziaria. Anzi io penso che per comprendere il ruolo assolutamente non sussidiario che la formazione ha assunto in questi anni all’interno dei processi di cambiamento che hanno investito la nostra organizzazione basterebbe chiedersi come saremmo riusciti a gestire . io credo tutto sommato adeguatamente- l’impatto di innovazioni quali l’istituzione del Giudice unico o il varo del Testo unico delle spese di giustizia senza il contributo della rete di formazione che abbiamo realizzato. Soprattutto se pensiamo che la nostra è nell’insieme un’organizzazione giovane: la metà dei nostri 45000 impiegati è entrata negli ultimi 15 anni.

Insomma se non siamo sicuramente l’organizzazione pubblica che forma di più il personale, siamo sicuramente quella con maggiore capacità di autonoma progettazione e gestione degli interventi formativi.

E anche qui un parallelo con l’area dello sviluppo delle tecnologie è interessante. Perché similmente se è vero che non siamo sicuramente l’amministrazione tecnologicamente più avanzata, siamo però altrettanto sicuramente una di quelle maggiormente in grado di governare con risorse interne i progetti di sviluppo del settore.

Lo stesso raffronto con il mitico privato non ci vede sfigurare se pensiamo che solo il 60 % delle aziende di dimensioni paragonabili alla nostra ha un’autonoma struttura rivolta alla formazione.

Piuttosto è il raffronto con i grandi Enti previdenziali che continua a vederci perdenti: il piano di formazione 2003 dell’INPS prevede il coinvolgimento di 33000 dipendenti(equivalente al numero degli addetti) con un impegno di spesa di ben 5 milioni di euro.

Noi abbiamo avuto 16000 partecipanti nel 2002 (10mila ore), 24000 nel 2001 (27mila ore), 3600 nel 2000 (5mila ore), con un massimo nel 99 di 35000 impiegati coinvolti (7mila ore) sempre su circa 45000 addetti.

E’ comunque proprio dalla consapevolezza dei risultati conseguiti che muove la necessità di individuare le aree di ritardo e di miglioramento possibile.

Io credo quindi vada riconosciuto che la nostra formazione risente innanzitutto dei limiti strutturali della formazione pubblica italiana. Che poi sono un portato della difficoltà stessa di qualificare il ruolo della P.A. nell’ambito della vita nazionale.

 

A me sembra, a riguardo, non possa essere sottaciuto il ruolo non adeguatamente propulsivo svolto dalla SSPA.

E’ evidente che il forse abusato paragone con l’esperienza francese ci penalizza oltre i nostri demeriti.

Del resto l’ENA francese attinge ruolo e prestigio dalla peculiarità della storia della Francia, dove l’avversione napoleonica per le Università (dopo la rivoluzione furono soppresse tutte e 22 perché ritenute retaggio del passato regime assolutista) assegnò alle grandi scuole la funzione, storicamente determinata, di plasmare un modello organizzativo statale originale ed organico ad una elevata funzione nazionale.

Il nostro modello cavouriano è stato sempre un "submodello" perché non vi hanno attecchito elementi fondanti quali lo spirito di servizio, l’autorità, la competenza tecnica.

Tanto il modello francese si è nutrito di una autorevole autonomia culturale del momento formativo, che poi ha permeato l’autonomia e l’autorevolezza della pubblica amministrazione francese, tanto, specularmente, il "submodello" burocratico italiano ha prodotto a sua misura una Scuola Superiore che, a mio giudizio, ha poi concorso storicamente a perpetuare il medesimo modello.

Basti pensare che la nostra SSPA, pensata nel '57 e realizzata nel '62, ha avuto per primi tre direttori tre…prefetti! E solo alla fine degli anni '80 ha avuto per direttore un uomo proveniente dal mondo della formazione.

Il successo dei processi di cambiamento che siamo chiamati a realizzare richiede una Scuola Superiore profondamente riformata. Nell’autonomia rispetto al ceto di governo. Nella struttura. Nel modello di reclutamento della docenza.

La docenza nella SSPA non può essere una carriera, un incarico fino alla pensione. Significativo è, al riguardo, che l'ENA francese abbia un solo docente stabile: il professore di educazione fisica!

Rispetto ad un quadro complessivamente non ancora adeguato delle politiche formative nella PA, la nostra organizzazione registra, come ho in parte già detto, dei punti di forza: la presenza di una qualificata rete di formatori e la diffusione di un forte orientamento alla formazione tra una parte almeno della nostra dirigenza. E parlo anche dell'alta dirigenza.

Tuttavia avverto anche l'addensarsi di rischi di non secondari. Che credo sia doveroso rilevare.

  1. Innanzitutto lo stesso riconoscimento ai formatori in una autonoma figura professionale se per un verso ne assicura il riconoscimento del ruolo e soprattutto li tutela dall'essere fagocitati dalle altre esigenze degli uffici, dall'altro rischia di burocratizzarne il profilo. Io so bene di rischiare l'impopolarità tra gli stessi formatori ma resto persuaso che quella del formatore debba essere una competenza non un ruolo! Non riesco ad immaginare, in prospettiva, una leva di formatori (magari reclutati con un concorso dall'esterno) che restano formatori a vita fino alla pensione. Non disconosco l'esigenza di tutelare la destinazione esclusiva di tali risorse alla formazione ma forse si sarebbe potuto adottare la stessa soluzione accolta per i dirigenti informatici: sono dirigenti come gli altri ma destinati, in via esclusiva ma non all'infinito, ai Cisia.
  2. Il secondo rischio che avverto è legato al ruolo che gli accordi raggiunti sulla riqualificazione del personale assegnano alla formazione. Se è vero che far scandire ogni progressione di carriera con il superamento di un percorso formativo dilata, accresce, il peso della formazione nel nostro ambiente organizzativo, è vero che si rischia un certo snaturamento del ruolo di libera e consapevole occasione di crescita che la formazione dovrebbe presidiare. Insomma io condivido l'esigenza di collegare lo sviluppo delle competenze al sistema premiante ma avrei preferito tra le due fasi formazione-carriera, un vincolo meno burocratico, meno rigido.

E allora quale formazione per una nuova organizzazione giudiziaria?

Sicuramente una formazione che sia parte del progetto di sviluppo organizzativo. Io in realtà ritengo che l'organizzazione venga prima della formazione. E che la formazione debba concorrere al governo dell'organizzazione aiutando la creazione di nuovi modelli di comportamento, quindi di nuovi modelli organizzativi.

In realtà poi la formazione, suscitando nuove aspettative, ridefinendo verso l'alto le aspettative, è in grado di influenzare, i processi di cambiamento, di esserne artefice originale.

Ma forse il punto non è questo.

La domanda che dobbiamo porci è piuttosto in che direzione e come orientare lo sviluppo delle competenze.

E la risposta che io mi sono dato è che questo sviluppo non può che essere orientato in una direzione europea.

La crescita della nostra organizzazione deve assumere, a mio giudizio, questa bussola. L'orizzonte democratico maturo dell'Unione Europea.

Il che non vuol dire naturalmente solo lingue!

Si tratta piuttosto di formare ai valori del lavoro pubblico propri del contesto europeo.

Affermando quindi anche una ritrovata autonomia culturale della PA.

Una piena autorevolezza della PA.

Se questo è il quadro allora è chiaro che la dirigenza pubblica, la nostra dirigenza, è chiamata ad una estensione del ruolo, delle responsabilità.

Certe volte si è avuta quasi la sensazione che noi dirigenti fossimo i convitati di pietra nella determinazione delle politiche formative. Rari destinatari/beneficiari di interventi ( registro solo, non polemicamente, che il corso standard al momento della nomina è di 10 giorni per i dirigenti e di 23 per i cancellieri B3,- e accolgo a riguardo positivamente il recente intervento già in corso di erogazione per alcuni distretti); spesso negativamente prevenuti verso la formazione rivolta al personale e tesi a presidiare soltanto la necessità di assicurare i servizi …

Allora quale formazione ma anche in che modo, con che articolazione.

Io penso che alcune proposte sia possibile comunque formularle:

Insomma, in conclusione, io credo che la risposta a "quale formazione" emerga abbastanza chiaramente dal quadro tracciato.

Innanzitutto e sicuramente una formazione non sussidiaria ma protagonista dei processi di cambiamento. Nel suo intervento all'apertura del forum pa il Ministro della FP Mazzella ha messo in guardia dallo stesso rischio di attribuire al solo sviluppo tecnologico il ruolo di assicurare lo sviluppo organizzativo. La crescita della qualità dei servizi erogati. Non è così. E l'intestazione del forum di quest'anno alla "valorizzazione delle risorse umane" intende riconoscere pienamente a questa risorsa, al "capitale umano", alle persone, una centralità che probabilmente ed a torto avevamo in parte smarrito.

Qualcuno ha calcolato che il capitale USA complessivo è costituito tra il 90 ed il 95 % da "capitale umano"!

Questo vale ancora di più per la PA, che, in fondo , è costituita da un capitale fisico (edifici strutture), un capitale normativo ma, soprattutto, da "capitale umano"! Che è quindi la maggiore fonte di ricchezza.

Occorre quindi ripartire dalle persone. Attrezzarsi a promuovere e governare quello che chiamerei un vero e proprio nuovo umanesimo organizzativo.

Io penso di aver acquisito proprio dal lavoro di formatore la consapevolezza che, proprio perché il processo di apprendimento è libero e autonomo, in genere si apprende sempre da qualcuno che si è occupato veramente di noi. Credo se se ciascuno di noi si guarda dentro e indietro e si chiede da chi ha imparato qualcosa troverà sempre persone (un genitore, un professore, un capo..) con cui c'è stato un rapporto vero, intenso…

Una formazione, in definitiva, che dia riconoscimento e valore alle persone e quindi alle organizzazioni in cui lavorano.

Renato ROMANO